VIVIAMO NELL'ATTESA CHE LA NOSTRA GIORNATA DI LAVORO FINISCA, NELL'ATTESA DELLE VACANZE E DELLA PENSIONE. NON LAVORIAMO PERCHÉ AMIAMO IL NOSTRO LAVORO, PERCHÉ CI È NECESSARIO ESISTENZIALMENTE, OLTRE CHE ECONOMICAMENTE, MA PER POTERLO FINALMENTE LASCIARE. QUESTO PENSIERO, ORMAI LARGAMENTE DIFFUSO IN TUTTE LE CLASSI SOCIALI, È FRUTTO DELL'ECONOMIA INDUSTRIALE, CHE CI HA FATTO SMARRIRE IL VALORE UMANO DI CIÒ CHE FACCIAMO E CI HA RESO ESTRANEO CIÒ CHE PRODUCIAMO. LA MECCANIZZAZIONE DEL LAVORO CI HA POI PORTATO A PENSARE ALLA TERRA COME A UNA MACCHINA, E NON COME A UNA CREATURA VIVENTE, LA CUI SALUTE DIPENDE DAL BUON FUNZIONAMENTO DI TUTTI I SUOI ORGANI. L'EFFETTO SULL'AGRICOLTURA DI QUESTO APPROCCIO, INDIFFERENTE AI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA VITA, È STATO ED È DEVASTANTE, ANCHE PERCHÉ ESSA ABBRACCIA TUTTO CIÒ CHE RIGUARDA LA SOPRAVVIVENZA E IL BENESSERE DELL'UOMO: IL SUOLO, L'ARIA, L'ACQUA, LE PIANTE, GLI ANIMALI, LA PRODUZIONE DI CIBO, QUINDI DI ENERGIA. IN QUESTA RACCOLTA DI SAGGI, DA UOMO E DA CONTADINO, WENDELL BERRY RIFLETTE SUI PROBLEMI DELL'AGRICOLTURA CONTEMPORANEA E CI INDICA UN CAMMINO NON SOLO AUSPICABILE MA GIÀ PERSEGUITO DA MOLTI, IN CUI RITORNA CENTRALE LA GESTIONE RESPONSABILE E AMOREVOLE DELLA TERRA E DELLE CREATURE CHE SU DI ESSA VIVONO, IN CUI IL COLTIVARE SI FONDA SU PRINCIPI SOSTENIBILI, ECOLOGICI E BIOLOGICI, PIUTTOSTO CHE SU PRINCIPI MECCANICISTI ORIENTATI A OTTENERE PROVENTI TANTO RAPIDI QUANTO DANNOSI. UN CAMMINO IN CUI NESSUNO PUÒ PIÙ PERMETTERSI DI IGNORARE I PROCESSI DI PRODUZIONE CHE PORTANO SULLE NOSTRE TAVOLE CIÒ DI CUI CI NUTRIAMO.