Viviamo nell’attesa che la nostra giornata di lavoro finisca, nell’attesa delle vacanze e della pensione. Non lavoriamo perché amiamo il nostro lavoro, perché ci è necessario esistenzialmente, oltre che economicamente, ma per poterlo finalmente lasciare. Questo pensiero, ormai largamente diffuso in tutte le classi sociali, è frutto dell’economia industriale, che ci ha fatto smarrire il valore umano di ciò che facciamo e ci ha reso estraneo ciò che produciamo. La meccanizzazione del lavoro ci ha poi portato a pensare alla terra come a una macchina, e non come a una creatura vivente, la cui salute dipende dal buon funzionamento di tutti i suoi organi. L’effetto sull’agricoltura di questo approccio, indifferente ai principi fondamentali della vita, è stato ed è devastante, anche perché essa abbraccia tutto ciò che riguarda la sopravvivenza e il benessere dell’uomo: il suolo, l’aria, l’acqua, le piante, gli animali, la produzione di cibo, quindi di energia. In questa raccolta di saggi, da uomo e da contadino, Wendell Berry riflette sui problemi dell’agricoltura contemporanea e ci indica un cammino non solo auspicabile ma già perseguito da molti, in cui ritorna centrale la gestione responsabile e amorevole della terra e delle creature che su di essa vivono, in cui il coltivare si fonda su principi sostenibili, ecologici e biologici, piuttosto che su principi meccanicisti orientati a ottenere proventi tanto rapidi quanto dannosi. Un cammino in cui nessuno può più permettersi di ignorare i processi di produzione che portano sulle nostre tavole ciò di cui ci nutriamo. Se torneremo a essere consapevoli che «mangiare è un atto agricolo»‚ inevitabilmente lo saremo anche di tutto quanto vi è connesso e ci preoccuperemo del benessere delle generazioni presenti e future e dunque della natura, di quel luogo che ci ospita e in cui cresce ciò che ci permette di esistere. Introduzione di Michael Pollan.
VIVIAMO NELL'ATTESA CHE LA NOSTRA GIORNATA DI LAVORO FINISCA, NELL'ATTESA DELLE VACANZE E DELLA PENSIONE. NON LAVORIAMO PERCHÉ AMIAMO IL NOSTRO LAVORO, PERCHÉ CI È NECESSARIO ESISTENZIALMENTE, OLTRE CHE ECONOMICAMENTE, MA PER POTERLO FINALMENTE LASCIARE. QUESTO PENSIERO, ORMAI LARGAMENTE DIFFUSO IN TUTTE LE CLASSI SOCIALI, È FRUTTO DELL'ECONOMIA INDUSTRIALE, CHE CI HA FATTO SMARRIRE IL VALORE UMANO DI CIÒ CHE FACCIAMO E CI HA RESO ESTRANEO CIÒ CHE PRODUCIAMO. LA MECCANIZZAZIONE DEL LAVORO CI HA POI PORTATO A PENSARE ALLA TERRA COME A UNA MACCHINA, E NON COME A UNA CREATURA VIVENTE, LA CUI SALUTE DIPENDE DAL BUON FUNZIONAMENTO DI TUTTI I SUOI ORGANI. L'EFFETTO SULL'AGRICOLTURA DI QUESTO APPROCCIO, INDIFFERENTE AI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA VITA, È STATO ED È DEVASTANTE, ANCHE PERCHÉ ESSA ABBRACCIA TUTTO CIÒ CHE RIGUARDA LA SOPRAVVIVENZA E IL BENESSERE DELL'UOMO: IL SUOLO, L'ARIA, L'ACQUA, LE PIANTE, GLI ANIMALI, LA PRODUZIONE DI CIBO, QUINDI DI ENERGIA. IN QUESTA RACCOLTA DI SAGGI, DA UOMO E DA CONTADINO, WENDELL BERRY RIFLETTE SUI PROBLEMI DELL'AGRICOLTURA CONTEMPORANEA E CI INDICA UN CAMMINO NON SOLO AUSPICABILE MA GIÀ PERSEGUITO DA MOLTI, IN CUI RITORNA CENTRALE LA GESTIONE RESPONSABILE E AMOREVOLE DELLA TERRA E DELLE CREATURE CHE SU DI ESSA VIVONO, IN CUI IL COLTIVARE SI FONDA SU PRINCIPI SOSTENIBILI, ECOLOGICI E BIOLOGICI, PIUTTOSTO CHE SU PRINCIPI MECCANICISTI ORIENTATI A OTTENERE PROVENTI TANTO RAPIDI QUANTO DANNOSI. UN CAMMINO IN CUI NESSUNO PUÒ PIÙ PERMETTERSI DI IGNORARE I PROCESSI DI PRODUZIONE CHE PORTANO SULLE NOSTRE TAVOLE CIÒ DI CUI CI NUTRIAMO.
Viviamo nell’attesa che la nostra giornata di lavoro finisca, nell’attesa delle vacanze e della pensione. Non lavoriamo perché amiamo il nostro lavoro, perché ci è necessario esistenzialmente, oltre che economicamente, ma per poterlo finalmente lasciare. Questo pensiero, ormai largamente diffuso in tutte le classi sociali, è frutto dell’economia industriale, che ci ha fatto smarrire il valore umano di ciò che facciamo e ci ha reso estraneo ciò che produciamo. La meccanizzazione del lavoro ci ha poi portato a pensare alla terra come a una macchina, e non come a una creatura vivente, la cui salute dipende dal buon funzionamento di tutti i suoi organi. L’effetto sull’agricoltura di questo approccio, indifferente ai principi fondamentali della vita, è stato ed è devastante, anche perché essa abbraccia tutto ciò che riguarda la sopravvivenza e il benessere dell’uomo: il suolo, l’aria, l’acqua, le piante, gli animali, la produzione di cibo, quindi di energia. In questa raccolta di saggi, da uomo e da contadino, Wendell Berry riflette sui problemi dell’agricoltura contemporanea e ci indica un cammino non solo auspicabile ma già perseguito da molti, in cui ritorna centrale la gestione responsabile e amorevole della terra e delle creature che su di essa vivono, in cui il coltivare si fonda su principi sostenibili, ecologici e biologici, piuttosto che su principi meccanicisti orientati a ottenere proventi tanto rapidi quanto dannosi. Un cammino in cui nessuno può più permettersi di ignorare i processi di produzione che portano sulle nostre tavole ciò di cui ci nutriamo. Se torneremo a essere consapevoli che «mangiare è un atto agricolo»‚ inevitabilmente lo saremo anche di tutto quanto vi è connesso e ci preoccuperemo del benessere delle generazioni presenti e future e dunque della natura, di quel luogo che ci ospita e in cui cresce ciò che ci permette di esistere. Introduzione di Michael Pollan.