Con questo progetto fotografico dedicato alla tragedia del Vajont ho cercato di rappresentare un mondo irrecuperabile in cui il tempo non è stato vissuto, gli oggetti sono scomparsi, le vite sono andate perdute. Attraverso un’energia disumana che ha bruscamente annientato il passato e aperto un varco verso l’ignoto, in pochi istanti si è venuto a creare un salto dimensionale in cui vittime e sopravvissuti hanno visto concludersi un’epoca. Le foto, attraverso l’accompagnamento del testo narrativo, descrivono la diga come il limite, spaziale e temporale, al di là del quale tutto muta, cambiando significato e direzione. La diga viene rappresentata come confine tra gli opposti che governano l’esistenza. Il progresso diventa stento e disperazione, la forza cinetica si trasforma in tensione statica e disorientamento, tutto ciò che dovrebbe portare vita restituisce morte. Di fronte all’inevitabilità del Fato, non resta che sopportare il peso dell’esistenza, aggrappandosi a ciò che è possibile afferrare. Alcuni sono costretti a rimanere spettatori per sempre, altri riescono a trovare una nuova luce che aiuti i posteri a non commettere gli stessi irreparabili errori.
CON QUESTO PROGETTO FOTOGRAFICO DEDICATO ALLA TRAGEDIA DEL VAJONT HO CERCATO DI RAPPRESENTARE UN MONDO IRRECUPERABILE IN CUI IL TEMPO NON È STATO VISSUTO, GLI OGGETTI SONO SCOMPARSI, LE VITE SONO ANDATE PERDUTE. ATTRAVERSO UN’ENERGIA DISUMANA CHE HA BRUSCAMENTE ANNIENTATO IL PASSATO E APERTO UN VARCO VERSO L’IGNOTO, IN POCHI ISTANTI SI È VENUTO A CREARE UN SALTO DIMENSIONALE IN CUI VITTIME E SOPRAVVISSUTI HANNO VISTO CONCLUDERSI UN’EPOCA. LE FOTO, ATTRAVERSO L’ACCOMPAGNAMENTO DEL TESTO NARRATIVO, DESCRIVONO LA DIGA COME IL LIMITE, SPAZIALE E TEMPORALE, AL DI LÀ DEL QUALE TUTTO MUTA, CAMBIANDO SIGNIFICATO E DIREZIONE. LA DIGA VIENE RAPPRESENTATA COME CONFINE TRA GLI OPPOSTI CHE GOVERNANO L’ESISTENZA. IL PROGRESSO DIVENTA STENTO E DISPERAZIONE, LA FORZA CINETICA SI TRASFORMA IN TENSIONE STATICA E DISORIENTAMENTO, TUTTO CIÒ CHE DOVREBBE PORTARE VITA RESTITUISCE MORTE. DI FRONTE ALL’INEVITABILITÀ DEL FATO, NON RESTA CHE SOPPORTARE IL PESO DELL’ESISTENZA, AGGRAPPANDOSI A CIÒ CHE È POSSIBILE AFFERRARE. ALCUNI SONO COSTRETTI A RIMANERE SPETTATORI PER SEMPRE, ALTRI RIESCONO A TROVARE UNA NUOVA LUCE CHE AIUTI I POSTERI A NON COMMETTERE GLI STESSI IRREPARABILI ERRORI.
Con questo progetto fotografico dedicato alla tragedia del Vajont ho cercato di rappresentare un mondo irrecuperabile in cui il tempo non è stato vissuto, gli oggetti sono scomparsi, le vite sono andate perdute. Attraverso un’energia disumana che ha bruscamente annientato il passato e aperto un varco verso l’ignoto, in pochi istanti si è venuto a creare un salto dimensionale in cui vittime e sopravvissuti hanno visto concludersi un’epoca. Le foto, attraverso l’accompagnamento del testo narrativo, descrivono la diga come il limite, spaziale e temporale, al di là del quale tutto muta, cambiando significato e direzione. La diga viene rappresentata come confine tra gli opposti che governano l’esistenza. Il progresso diventa stento e disperazione, la forza cinetica si trasforma in tensione statica e disorientamento, tutto ciò che dovrebbe portare vita restituisce morte. Di fronte all’inevitabilità del Fato, non resta che sopportare il peso dell’esistenza, aggrappandosi a ciò che è possibile afferrare. Alcuni sono costretti a rimanere spettatori per sempre, altri riescono a trovare una nuova luce che aiuti i posteri a non commettere gli stessi irreparabili errori.